Scrittore italiano, trascorse la giovinezza in esilio insieme al padre Paolo Emilio (sua madre era una sorella di A. Poerio). A Zurigo seguì le lezioni di De Sanctis e registrò interi corsi in resoconti diligentissimi; completò poi gli studi a Berlino e fu suggestionato politicamente dall’hegelismo. Volontario nel 1859, fu quindi tra i garibaldini nel 1866 e venne preso prigioniero a Bezzecca; ma divenne poi fautore della monarchia. A Napoli svolse attività pubblicistica e insegnò letteratura italiana e tedesca. Temperamento bizzarro e polemico, sfogò i suoi umori in romanzi, novelle, poesie e saggi, esibendo uno stile estroso, antimanzoniano, impastato di latinismi e arcaismi, forme idiomatiche e dialettali, allitterazioni. Si è parlato per questo di consonanza con gli scapigliati lombardi, ma altri preferisce risalire a una matrice barocca, soprattutto a G.B. Basile, di cui fu acuto studioso (Il gran Basile, 1875). Tra le prose narrative spiccano il romanzo Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876), violenta satira dell’aristocrazia italiana, e Mastr’Impicca (1874), grottesca fiaba politica fitta di giochi di parole. Recentemente sono state riportate alla luce altre sue opere: Il vivicomburio e altre novelle (racconti riuniti in vol. nel 1977), Merope IV (1867), L’impietratrice (1875). Anche nella critica manifestò il suo gusto acre d’andar controcorrente (Berchet e il romanticismo italiano, 1867; Fame usurpate, 1877). Come critico d’arte fu favorevole alle novità tecniche ed espressive dei macchiaioli (La quinta Promotrice, 1867). Rilevante, infine, anche la sua attività di folclorista, con le raccolte: Canti del popolo meridionale (1871-72), La novellaia fiorentina (1871), La novellaia milanese (1872).